mercoledì 4 gennaio 2012

Un'intervista a Ursula K. Le Guin su L'Unità.

Riprendiamo integralmente dal Blog "Segnalazioni" l'interessante intervista a Ursula K. Le Guin pubblicata su L'Unità di ieri 3 gennaio a seguito dell'uscita dell'ultimo romanzo dell'autrice, dal titolo Lavinia, per i tipi della Cavallo di ferro. Rammentiamo che tutti i post sull'amatissima Ursula, compreso questo, in Fantascienzaedintorni sono accessibili a questo link.

Fotografia: copyright © by Marian Wood Kolisch

l’Unità 3 gennaio 2012
L’intervista. Ursula Le Guin
L’Eneide narrata da Lavinia
Parla la scrittrice californiana femminista, anarchica e autrice pioniera dei romanzi
di fantascienza. Stavolta guarda al passato e porta alla ribalta la moglie di Enea. «Quale traguardo per le donne di oggi? Non dover mai indossare un burqa né fisico né morale»

di Maria Serena Palieri

URSULA LE GUIN
BERKELEY, 1929
Figlia di Alfred Kroeber, un’autorità nel campo dell’antropologia, e della scrittrice Theodora Kroeber, Ursula Le Guin vive nell’Oregon, si definisce anarchica e femminista ed è una dei rari esponenti della letteratura utopica moderna. Ha vinto cinque premi Hugo e sei premi Nebula, i massimi riconoscimenti della letteratura fantastica, ed è considerata una delle principali autrici viventi di fantascienza. La profondità e attualità dei suoi temi, che spaziano dal femminismo all’utopia e al pacifismo, hanno reso i suoi romanzi noti e apprezzati ben oltre il tradizionale circolo di lettori di genere. Tra le sue opere si ricordano in particolare «La mano sinistra delle tenebre» (1969) e «I reietti dell’altro pianeta» (1974). Dal terzo e quarto libro del ciclo fantastico di «Earthsea» pubblicato tra il 68 e il 72 - è stato tratto nel 2005 il film di animazione «I racconti di Terramare» diretto da Goro Miyazaki, figlio del maestro Hayao Miyazaki.

Ci voleva una scrittrice della Napa Valley, California, e glottoteta, cioè esperta in una forma di esperanto, così come creatrice di prodigiosi mondi d’invenzione come l’Earthsea del suo ciclo più celebre, insomma ci voleva qualcuno che viene da un altro cosmo per dare voce a Lavinia, la moglie laziale di Enea, da duemila e trent’anni sepolta silente nelle pagine dell’Eneide. Ci voleva in altre parole Ursula K. Le Guin, scrittrice di culto per molte generazioni, con il suo romanzo Lavinia, uscito negli Usa nel 2008 e ora in libreria da noi (Cavallo di ferro, traduzione Natascia Pennacchietti e Costanza Rodotà, pagine 315, euro 16,00). Lavinia è un romanzo che, per il tramite della figlia del re Latino, ci racconta appunto in modo inedito la nascita della nostra civiltà. E così Ursula K. Le Guin, ora, ce ne spiega la genesi.
Nell’«Eneide» virgiliana Lavinia è menzionata undici volte, soprattutto come promessa sposa di Enea. Non ha voce e i suoi unici segni di vita sono un timido rossore e gli occhi modestamente rivolti in basso. Perché ha deciso di dedicarle un romanzo di 314 pagine? E cosa può dirci Lavinia che Virgilio non ci abbia già detto?
«In realtà, io non ho deciso nulla. Ma rileggendo l’Eneide mi sono interrogata su Lavinia chi fosse davvero, come fosse, cosa pensasse dell’uomo venuto da Troia e molto presto lei ha cominciato a parlarmi. Tutto ciò che dovevo fare era ascoltare cosa avesse da dirmi. (E leggere qualcosa sul Lazio nell’Età del Bronzo!)».
Che differenza c’è tra scrivere un libro ambientato in un mondo immaginario, come lei ha fatto con i suoi romanzi fantasy, scrivere un romanzo di fantascienza ambientato nel futuro o in un presente parallelo, come lei ha anche fatto, e scrivere un romanzo come questo, storico, ambientato nel passato?
«La differenza è davvero piccola, una volta che chi scrive ha creato appieno e con chiarezza l’ambiente, il mondo del suo romanzo, sia con un solido lavoro di fantasia sia con una ricerca storica sul luogo e il tempo».
Lei ha raccontato di avere riletto in latino, in quest’occasione, il poema di Virgilio. E, se non sbaglio, si è laureata con degli studi sul nostro Risorgimento. Vado errata? E qual è in ogni caso il suo legame con il nostro paese?
«Sono laureata in realtà in letteratura rinascimentale francese e italiana. Ed è una laurea che ho conseguito un bel pezzo fa. In realtà, poi, temo di poter leggere meglio Petrarca che l’Unità. So del vostro Risorgimento, dunque, quello che può sapere ogni persona interessata a tutti i grandi movimenti di liberazione europei del XIX secolo. La mia conoscenza imperfetta del latino mi concede solo una lettura molto lenta, ma questo è un buon modo di leggere Virgilio».
Negli ultimi vent’anni, grazie a Harry Potter, il fantasy è diventato un vessillo globalizzato. Le piace il ciclo della Rowling? Sente qualche somiglianza con lei?
«Per dirla schietta, no. Però sono felice che il fantasy alla fine venga visto per ciò che è sempre stato, una delle più antiche e grandi forme letterarie».
Lei è anarchica e femminista. E ha quasi 82 anni. Nel corso della sua vita ha visto il mondo migliorare o peggiorare?
«L’anarchismo è un meraviglioso attrezzo con cui criticare tutte le altre teorie politiche. Il termine femminismo viene usato in così tante accezioni, molte ostili, ed è usato con tanta incuria, spesso tanta ignoranza, che non ha senso dire di qualcuno che sia femminista, oppure no. L’unico suffisso in “ista” che accetto come etichetta è quello della parola “taoista”. Quanto al “mondo” sta andando verso tempi duri davvero, perché per almeno duecento anni non abbiamo usato la Terra in modo saggio e responsabile».
Le donne occidentali oggi quale traguardo dovrebbero porsi?
«Non indossare mai, mai, mai un burqa. Né un burqa fisico né mentale né morale né religioso». 
Doris Lessing anche lei femminista, anche lei, tra le altre cose, scrittrice di fantascienza in tempi recenti ha espresso un giudizio drastico sulle giovani scrittrici inglesi: colpevoli, a suo dire, di frivolezza e vittimismo. Cosa ne pensa?
«Forse Doris Lessing non ricorda più quanto difficile sia la vita per i giovani, giovani scrittori, giovani scrittrici. Ma devo aggiungere che il binomio “frivolo e vittimista” descrive una bella fetta della narrativa contemporanea, scritta da uomini come da donne, da giovani come da vecchi, e non solo inglesi. Non possiamo però essere tutti profondi e generosi come José Saramago. E lui ci ha messo cinquanta-sessant’anni per conquistare quella saggezza e quella gentilezza».
Quali sono, se ci sono, gli errori piccoli, grandi, enormi compiuti dal femminismo?
«Non mi piace generalizzare. Posso dire che non credo che il femminismo abbia fatto grandi errori. Credo che molti uomini facciano un grande errore nel considerarlo ostile a se stessi e che molte giovani donne facciano un grande errore a pensare di non averne bisogno e che esso non abbia niente a che fare con loro».
Lei ha confessato che in questa parte della sua vita preferisce scrivere poesia anziché prosa. L’età e la condizione fisica influenzano la creatività di uno scrittore? Scrivere un romanzo lungo è anche una prova di forza fisica?
«Proprio così. Anche una novella chiede una pazzesca chiamata alle armi di tutte le mie energie vitali. Un romanzo però chiede che io mantenga energia e forza a pieno ritmo per mesi o per anni. Solo nel pieno della mia forza fisica, corporea, potrei cominciarne uno nuovo, sapendo che acquistando velocità mi trascinerebbe con sé. Ma la mia energia è esaurita da svariati acciacchi dell’età e non posso più intraprendere lunghi viaggi. Mi mancano molto, i lunghi viaggi.
Quando una poesia viene da me porta con sé la sua stessa energia, mi prende e mi porta con sé è come lottare con un angelo che ti trasporta in cielo».

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